“Ai Tagiki il Tagikistan, agli Uzbeki l'Uzbekistan
e agli Hazara il Goristan, cioè la tomba”.
e agli Hazara il Goristan, cioè la tomba”.
Questo è il detto di cui ci parla
Enaiatollah, un detto che lascia intuire tutto il disprezzo dei Talebani da cui
il popolo degli Hazara è continuamente succube. Abitanti in una regione nel
cuore dell'Afganistan, essi sono da sempre considerati delle bestie e degli
infedeli solo per i loro culti e le loro usanze. Dal modo in cui il
protagonista descrive e racconta ciò che vedeva nei quartieri di Quetta, e
soprattutto l'episodio in cui narra della drammatica sorte che toccò al suo maestro,
fa facilmente capire come la vita di questo popolo sia costantemente appesa ad
un filo. Vivono in una terra dove un uomo viene ucciso per aver contestato
l'ordine di un talebano. Vivono in una terra dove ai loro figli viene negato il
diritto di andare a scuola e, purtroppo, come afferma Enaiatollah: “La
vita, senza la scuola, è cenere”.
L'influenza dei talebani, nella maggior
parte delle regioni dell'Afganistan, ha fatto sì che il popolo degli Hazara
venga estraneato ed escluso da tutto e da tutti. Nonostante essi siano
nient'altro che un semplice popolo di contadini, che non fa altro che cercare
di sopravvivere, hanno subito e continuano a subire terribili atti di crudeltà;
un semplice esempio può essere la distruzione dei Buddha di Bamiya (nel 2001), considerati
dai talebani “eresie” scolpite nella roccia. L'atto di grande coraggio che
il professore di Enaitollah compie per i suoi alunni, potrebbe essere preso
come esempio per combattere il terrore che invade l'Hazarajat. Bisogna
difendere ciò che è importante: i diritti che abbiamo tutti noi uomini; e anche
se questo desiderio di libertà, che tutti noi esigiamo, viene pagato con la
morte, tutti i sacrifici di coloro che lottano e che continueranno a lottare,
non sono e non saranno mai considerati vani.
Mirea Matronicola