lunedì 24 febbraio 2014

Gli Hazara al "Gor"





“Ai Tagiki il Tagikistan, agli Uzbeki l'Uzbekistan 
e agli Hazara il Goristan, cioè la tomba”.

Questo è il detto di cui ci parla Enaiatollah, un detto che lascia intuire tutto il disprezzo dei Talebani da cui il popolo degli Hazara è continuamente succube. Abitanti in una regione nel cuore dell'Afganistan, essi sono da sempre considerati delle bestie e degli infedeli solo per i loro culti e le loro usanze. Dal modo in cui il protagonista descrive e racconta ciò che vedeva nei quartieri di Quetta, e soprattutto l'episodio in cui narra della drammatica sorte che toccò al suo maestro, fa facilmente capire come la vita di questo popolo sia costantemente appesa ad un filo. Vivono in una terra dove un uomo viene ucciso per aver contestato l'ordine di un talebano. Vivono in una terra dove ai loro figli viene negato il diritto di andare a scuola e, purtroppo, come afferma Enaiatollah: “La vita, senza la scuola, è cenere”.

L'influenza dei talebani, nella maggior parte delle regioni dell'Afganistan, ha fatto sì che il popolo degli Hazara venga estraneato ed escluso da tutto e da tutti. Nonostante essi siano nient'altro che un semplice popolo di contadini, che non fa altro che cercare di sopravvivere, hanno subito e continuano a subire terribili atti di crudeltà; un semplice esempio può essere la distruzione dei Buddha di Bamiya (nel 2001), considerati dai talebani “eresie” scolpite nella roccia. L'atto di grande coraggio che il professore di Enaitollah compie per i suoi alunni, potrebbe essere preso come esempio per combattere il terrore che invade l'Hazarajat.  Bisogna difendere ciò che è importante: i diritti che abbiamo tutti noi uomini; e anche se questo desiderio di libertà, che tutti noi esigiamo, viene pagato con la morte, tutti i sacrifici di coloro che lottano e che continueranno a lottare, non sono e non saranno mai considerati vani.

Mirea Matronicola

I Talebani



“...uscire dal distretto o dalla provincia di Ghazni era estremamente pericoloso perché tra talebani e pashtun, che non sono la tessa cosa, no, ma a noi hanno sempre fatto del male uguale , dovevi stare stare attento a chi incontravi...”.

Il termine talebani o talibani, indica gli studenti delle scuole coraniche (basate unicamente su testi sacri islamici) e la popolazione fondamentalista presente in Afghanistan e nel confinante Pakistan. I talebani che si sono sviluppati come  movimento politico-religioso/militare, con lo scopo di fare dell'Islam un emirato, dopo una sanguinosa guerra civile hanno “governato” sull'Afghanistan, appoggiati diplomaticamente da Emirati Arabi Uniti,Pakistan e Arabia Saudita, dal 1996 al 2001. Ostili ad adattare la loro patria alle società più moderne del pianeta, i  Talebani respinsero ogni tentativo d’interpretazione che non fosse inquadrato nella più conservatrice tradizione islamica, adottando un atteggiamento repressivo nei confronti degli oppositori. I talebani godettero di un notevole appoggio da parte degli afghani di etnia pashtun, e dei pakistani, ma quest'ultimi offrirono ai Talebani denaro e appoggi per transitare attraverso i territori da loro controllati. I Talebani, che accettarono l'offerta, conquistarono il paese un po' per volta.

Il 26 settembre 1996, i talebani conquistarono Kabul e fondarono l'Emirato Islamico dell'Afghanistan, che venne riconosciuto da Pakistan, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. I Talebani avversano ferocemente l'Islam sciita, al punto da dichiarare gli afghani di etnia Hazara (di ceppo mongolo,i quali costituiscono il 10% della popolazione) non musulmani.

Guido S.

Il Buzul-bazi e gli altri giochi afghani

Si usano come dei dadi, ma sono frammenti d'ossa. Parliamo del Buzul-bazi


Ma avrei voluto tornare a casa, a Nava, a giocare a Buzul-bazi con i miei amici

Il Buzul-bazi è un gioco molto diffuso tra i bambini afghani, perché si può giocare in tutte le stagioni, sia quando fa freddo, sia quando fa caldo, a differenza di altri giochi che invece sono praticati solo in alcune stagioni.  Questo gioco si faceva con un osso ( l’aliosso) che veniva  preso dalla zampa delle pecore per poi farlo  bollire, quindi era  molto facile da realizzare per i bambini afghani che vivevano nell’assoluta povertà.  Si pensa che sia nato in Asia Minore e che poi si sia diffuso in Grecia, dove ha preso il nome “astragalo” e ,poi,  nell’antica Roma e in Magna Grecia, dove invece veniva chiamato “aliossi”. Si poteva giocare in molti modi, il più diffuso consisteva nel buttare gli ossi a terra, dopo averli agitati nelle mani, e a seconda delle  combinazioni ottenute con essi  si poteva decretare il vincitore, un po’ come il nostro gioco dei dadi.
Questo non era l’unico gioco che intratteneva i lunghi pomeriggi dei fanciulli afghani. Amavano e mano giocare anche con gli aquiloni, che iniziano a costruire verso la fine dell’inverno, magari con l’aiuto dei loro esperti padri. Organizzavano veri e propri tornei, ai quali potevano partecipare  tutti e al termine di essi si decideva il fortunato. Ovviamente anche il gioco del nascondino, adorato dai bambini di  tutto il mondo, era conosciuto anche in Afghanistan, però veniva praticato solo nella bella stagione.  Molti sono i libri che narrano  i giochi e i passatempi di questi bambini. Oltre a “Nel mare ci sono i coccodrilli”, c’è anche “Il cacciatore di aquiloni”. I bambini afghani, pur vivendo in condizioni miserabili, si accontentano di poco, perché forse è proprio questo il segreto per essere felici. Molte volte viene dimenticato da chi pensa che la felicità si trovi nell’ ultimo modello di cellulare, in vestiti firmati o in chissà quale bene tecnologico particolarmente costoso. Per questo trovo bello poter entrare nella mente di quei popoli, che magari vivono lontani, che hanno usi e abitudini completamente differenti da quelli occidentali, ma che però riescono ad essere sereni con poco, ovvero con quello che hanno.

di Lisa T.



martedì 18 febbraio 2014

L'inizio di una nuova avventura. Ora....basta raccontarla


Scappare, sopravvivere, raccontare. E poi ricominciare a vivere. Queste potrebbero essere le fasi salienti che il libro Nel mare ci sono i coccodrilli riesce a raccontare. Veloce e immediato, uno stile a metà strada tra il reportage e la lettera, in sole 150 pagine si trovano emozioni in grado di tenere attaccato alle pagine adulti e bambini, lettori seriali e principianti della lettura. Un buon libro per cominciare un progetto che vuole avvicinare gli studenti di prima liceo alla lettura. Non una lettura tradizionale e domestica, ma una lettura condivisa, in classe, insieme. Una voce narrante, e molte teste pronte a seguire la lettura e immedesimarsi in questa storia. Si parlerà di paura, di fuga, di vita, di amore e di odio, di sentimenti e di fame. Un libro che aiuta chi lo legge a comprendere quanto sia infinitamente incomprensibile la cattiveria umana, ma allo stesso tempo quanto possa essere ancora più forte la capacità di reagire e di sperare un futuro che, prima o poi, potrebbe offrire uno scenario migliore. Nei prossimi post gli studenti della 1°cl del liceo Linguistico Pigafetta, guidati dallo scrivente docente di lettere, approfondiranno e commenteranno i temi incontrati durante la lettura. Dalla descrizione di luoghi, profumi e sapori, agli approfondimenti su questioni politiche ed economiche collegate alla storia narrata. Perchè un libro, oltre ad essere un piacere da leggere, è anche un'occasione per conoscere meglio il mondo. E' così quando si tratta di storie inventate, figuriamoci se non può esserlo anche quando la storia raccontata è accaduta veramente. Ma non voglio anticiparvi nulla. Siete pronti?


Prof. Simone Ariot